Meredith Cara, dispiace tanto ma non è dato sapere

Chissà se all’inizio del processo d’appello qualcuno ha pensato – scopiazzando Lucarelli – qualcosa del tipo “Amanda e Raffaele non lo sanno ma sono già liberi“.

Liberi. Dopo 4 anni di qualcosa (due processi) che sembra avere avuto poco a che fare con la giustizia del caso concreto. Che sarebbe capire chi, e possibilmente perché, uccise Meredith Cara Susanna Kercher, studentessa inglese (classe ’85) in Italia con il programma  Erasmus.

La verità processuale emersa – l’innocenza di Amanda (classe ’87) e Raffaele (classe ’84), la colpevolezza di Guede (classe ’86) in concorso con chissà chi – non sembra aver convinto appieno nemmeno chi l’ha studiata con attenzione, come il presidente della Corte d’Assise d’Appello di Perugia, Claudio Pratillo Hellmann, che ha dichiarato: “Per il momento Amanda Knox è assolutamente innocente” e “Questa rimarrà una verità insoluta. Nessuno potrà dire come sono andati i fatti” e ancora “La dinamica è difficilmente ricostruibile. L’unico che potrebbe dirlo è Guede. Ma lui ha solo detto che ha sempre pensato che (sul luogo del delitto, ndR) vi fossero Amanda e Raffaele. Però questo non vuole dire che c’erano. Non sapremo mai se Amanda e Raffaele c’erano o no“.

C’è una mancanza di ottimismo nelle parole di Pratillo, giustificata dall’esito del processo che ha ribaltato quello di primo grado.

C’è evidentemente stato un errore, o in primo grado o in appello. Logico.

C’è un quadro, dipinto dal giornalista del Guardian, perlomeno inquietante. Talmente inquietante da rendere necessaria una smentita. Altrimenti ha ragione lui: c’è chi si è impuntato sulla coppia Sollecito&Knox per partito molto preso e troppo prima di quanto si potesse.

Grave davvero. Soprattutto se perdi in Appello.

C’è il settore giustizia che si inceppa sempre più spesso per mancanza di fondi e quindi forza lavoro: a Catania, in data 8 ottobre 2011,  nove presunti membri della cosca Scalisi, collegata allo storico clan Laudani, sono liberi per decorrenza dei termini. Condannati in primo grado per reati che vanno dalla mafia alle estorsioni, hanno potuto lasciare il carcere perché la sentenza non è mai stata depositata dal gup Edoardo Gari. Difficile capire se anche loro “non lo sapevano ma erano già liberima il giudice Gari (quasi 70 anni, ottimo curriculum, vicino alla pensione e costernato per la propria “mancanza”) lavora per tre con organico ridotto all’osso.

Facile prevedere che senza un rafforzamento di organico, errori “più o meno voluti” aumenteranno. Con un alibi a prova di Mignini.

Anche questi sono sintomi di un’italia malata, una nave in rotta verso gli scogli senza un degno capitano e con troppi caporali in seconda che pensano solo a salvare la faccia mentre si giocano vigliaccamente il timone.

Occhio che tra poco il timone nessuno farà in tempo a pigliarlo.

Che abbiate notato o meno la i minuscola sull’iniziale di italia mi scuso. E’ solo che al momento una i maiuscola – quando si parla di italia – è come la soluzione dell’abbandono del vecchio nano con la fissa della patonza secondo quanto riferito dai pretoriani del Partito dei Leccaculo:  impraticabile e ingiusta.

Sono sicuro che il giornalista Douglas Preston e gli anglosassoni non hanno nulla da insegnarci, nemmeno in fatto di diritto e giustizia, ma fanno bene a farci notare cosa non funziona. Nel dubbio potrebbe-ro anche aver ragione.

Non sono stati forse i primi a chiedersi a proposito di noi – arrivando nel ’44 a Roma per liberarla: “Come hanno fatto un tempo a dominare il mondo?

Già.

Come.

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Amanda Knox è una vittima del sistema giudiziario italiano che pensa prima a salvare la propria faccia e poi a fare la giustizia del caso. Lo scrittore americano Douglas Preston sostiene che la fretta di giudizio relativa al caso Meredith Kercher sarebbe dovuta alla necessità di salvare il PM Giuliano Mignini, la Polizia e la magistratura da una pubblica  umiliazione. Mignini, dal canto suo, ritiene che Preston abbia architettato una campagna a mezzo stampa contro di lui e la sua gestione del caso Amanda Knox.

Amanda, vittima della giustizia italiana

traduzione di Amanda Knox: victim of Italian code which puts saving face before justice” di Douglas Preston per guardian.co.uk, martedì 4 Ottobre 2011

Il totale ribaltamento circa l’esito delle accuse a carico di Amanda Knox e Raffaele Sollecito per l’omicidio della studentessa britannica Meredith Kercher non ha davvero sorpreso. Perché?

Il processo di appello ha smontato tutto il pacchetto di prove considerate “cruciali” per l’esito del processo in primo grado che portò alla condanna della Knox e del Sollecito. Prove che non hanno dimostrato le accuse, e quindi difettose, errate, senza valore, forse manipolate.

L’assoluzione era l’unica soluzione praticabile. La Knox ha lasciato l’Italia non appena ha potuto. E sebbene il pm possa formalmente appellare la sentenza in Cassazione, il caso è sostanzialmente chiuso e comunque gli USA non ne consentiranno l’estradizione.

Restano grossi e inquietanti interrogativi. Come possono due persone essere condannate per un crimine efferato, passare quattro anni in prigione e poi essere giudicate innocenti?

La risposta sta nel concetto italiano di “faccia” – il cui profondo e pervasivo potere è di difficile comprensione per anglosassoni che non abbiano avuto modo di vivere nell’ex Bel Paese bagnato dal Mediterraneo – e in una storia che comincia quasi dieci anni fa, molto prima dell’omicidio di Meredith Kercher, quando un PM di Perugia, Giuliano Mignini, aprì un’inchiesta sulla misteriosa morte di un medico il cui corpo venne rinvenuto galleggiante nel lago Trasimeno nel 1985.

Mignini riteneva che il medico fosse legato ad una setta satanica – che lo avrebbe tolto di mezzo perché in procinto di andare alla polizia e rivelare i suoi molti crimini – in qualche modo legata a sua volta alla famigerata serie di omicidi commessi da un presunto serial killer noto come il mostro di Firenze.

Il mostro uccise è mutilò giovani amanti sulle colline di Firenze tra il 1974 e il 1985 e il caso divenne una delle indagini più lunghe e più costosa della storia criminale italiana. Un caso mai risolto (questa storia è raccontata in un libro Douglas Preston ha scritto con il giornalista italiano Mario Spezi, il mostro di Firenze).

Mignini teorizzò che questa setta satanica, composta da persone potenti – nobili, farmacisti, giornalisti e massoni – avrebbe commissionato gli omicidi al Mostro per avere parti del corpo femminile da utilizzare come ostie blasfeme nelle loro messe nere. Mettendosi a capo delle indagini, Mignini ne fu ossessionato al punto da oltrepassare la linea della legalità: intercettazioni nei confronti di alcuni giornalisti e indagini illegali su alcuni giornali.

Perciò e per altri reati – tra cui abuso d’ufficio – venne incriminato nel 2006. Secondo un procuratore era un uomo in “preda ad una sorta di delirio”.

Poi, nel 2007, arrivò l’omicidio di Meredith Kercher. Mignini ne assunse il carico, ipotizzandolo come un caso di vendetta. Lui e l’intero entourage perugino, che approvò le varie fasi nelle indagini e i successivi arresti, il tutto velocizzato al fine di arrivare a processo quanto prima.

Ritenendo il comportamento della Knox perlomeno non normale dopo l’omicidio, l’americana venne trattenuta per un estenuante e forse non regolare interrogatorio durato 14 ore da cui ne uscirono dichiarazioni che l’accusa ritenne sufficientemente compromettenti per Amanda.

Seguì una conferenza stampa, nella quale il capo della polizia di Perugia annunciò l’avvenuta identificazione dei killer: la Knox, il  suo ragazzo Raffaele Sollecito e un terzo individuo, Patrick Lumumba. Non sembravano esserci più dubbi. Caso chiuso.

Nei giorni successivi la scena del crimine venne analizzata e … sorpresa: gran parte delle prove, con indubbia costernazione da parte della polizia e del PM Mignini, indicava la presenza una 4^ persona le cui impronte insanguinate più DNA erano – così come per la vittima  che era stata violentata – ovunque sulla scena del crimine.

Il sospettato, prontamente identificato, era un delinquente da strapazzo, tale Rudy Guede, fuggito in Germania il giorno dopo l’omicidio ma preso e riportato indietro.

Le prove contro di lui erano schiaccianti.

La sua difesa? ammise di essere stato presente quando la Kercher venne aggredita, confessò di averla abbandonata morente temendo di essere incolpato ma aggiunse che era stato qualcun altro ad ucciderla perché al momento dell’aggressione lui era in bagno, ascoltando musica a tutto volume con il suo iPod e perciò impossibilitato a sentire (eventuali) urla della vittima.

A questo punto, un indagine gestita razionalmente avrebbe portato al logico rilascio della Knox e del Sollecito. Ma in gioco c’era la reputazione di polizia e magistratura e c’era una carriera a rischio chiusura, quella del PM Mignini.

Ammettere di aver clamorosamente sbagliato li avrebbe esposti a pubblico ludibrio. Avrebbe voluto dire perdere la faccia, soprattutto per il pm Mignini, già indagato per la sua condotta in fase di indagine nel caso del Mostro di Firenze.

Ma c’era qualcos’altro. Guede era stato coinvolto in una serie di delitti per i quali non era mai stato perseguito dalla polizia di Perugia ma rilasciato, anche dopo aver commesso reati di una certa gravità  come nel caso di un furto con scasso in possesso di un coltello.

Si fosse scoperto che Guede aveva ucciso la Kercher da solo, polizia e pubblici ministeri perugini avrebbero dovuto rendere conto circa i precedenti rilasci del malvivente.

Per un anno, mentre la ditta Mignini, Polizia & vari esperti forensi montavano il caso contro di loro, la Knox e il Sollecito sono stati soggetti a custodia cautelare in carcere.

Una prova cruciale che avrebbe potuto escludere una loro responsabilità venne perduta o comunque “maltrattata“: si tratta del disco rigido del computer di Sollecito – che avrebbe potuto dimostrarne l’innocenza se fosse stato l’uso al momento dell’omicidio – “bruciato” dagli investigatori quando,  presumibilmente, tentarono di copiarne il contenuto.

Falsi, quando non ingannevoli o triviali, sono stati i dettagli fatti trapelare alla stampa, avvelenando l’atmosfera contro la Knox e il Sollecito.

Una tattica particolarmente efficace in quanto (in Italia) mentre il processo è in corso, ai giurati non viene proibita la lettura e la discussione dei casi.

Una tattica piuttosto comune in Italia, anche se è nella legge italiana vige il segreto istruttorio.

Tutto questo ha portato alla non-sorprendente condanna della Knox e del Sollecito. Ma in appello, la maggior parte delle prove e dei testimoni sono stati riesaminati.

Il processo d’appello in Italia è generalmente considerato molto più approfondito di quelli di primo grado e le persone non sono generalmente considerate colpevoli fino a quando non sono condannate in appello.

È questa la ragione – casomai ve lo foste chiesto – per cui il PM Mignini, anche dopo la sua condanna per abuso d’ufficio, ha potuto continuare a (per)seguire il caso.

In Italia, circa il 50% delle condanne penali in primo grado vengono, in appello, fortemente riformate quando non diventano assoluzioni.

La Knox e il Sollecito si uniscono ai 4 milioni di italiani che dalla fine della guerra hanno visto le loro esistenze fortemente provate da condanne penali, per essere, dopo anni di agonia e prigionia, proclamati innocenti.

Anche se a loro non piace che qualcuno lo faccia notare, sono in molti gli italiani ben consapevoli che il loro sistema giudiziario ha grossi problemi. Silvio Berlusconi ha assolutamente ragione quando dice che il sistema giudiziario ha bisogno di riforme fondamentali. Il codice penale, residuato dell’era Mussolini, quando in Italia vigeva uno Stato di polizia, consente un notevole potere alla magistratura.

Se sei arrestato per un crimine e non hai alibi … ouch, ti trovi in guai molto seri perché, di fatto, l’onere della prova grava su di te per dimostrare la tua innocenza, nonostante, almeno a parole, nella Costituzione Italiana sei innocente fino a prova contraria.

Il sistema giudiziario italiano sembra spesso più interessato a preservare l’onore e la reputazione dei potenti di turno che a ricercare la verità.

Questo, in estrema sintesi, spiega perché la Knox e Sollecito non sono state rilasciate quando Guede è stato identificato, invocando DNA che lasciavano dubbi.

Spiega perché i pubblici ministeri e polizia hanno lasciato trapelare molte informazioni dannose e scabrose alla stampa.

Spiega perché due innocenti giovani hanno speso 1.450 giorni in carcere per un omicidio che non hanno commesso.

E’ sempre stata una questione d’onore.

Di reputazione.

Di faccia.

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