Ultra-Pizza vs. Margherita

Napoli ha dato alla luce e al forno a legna la Margherita, ma ora sopra la pizza ci si “butta” Stilton, Porto e pure liquirizia.

L’Invasione dell’Ultra-Pizza

tratto da Naples chefs take sides in the ‘ultra pizza’ wars di Tony Kington  per l’Observer, 20 maggio 2012 

Enzo Coccia ha un’aria da evangelizzatore mentre parla della sua pizza primavera – decorata con asparagi, mozzarella di bufala, pecorino, lardo e fagioli. “Dicano pure che sono un eretico, ma la mia è solo voglia di sperimentare“, dice il controverso esponente di un nuovo trend Italiano, quello delle pizze gourmet o … “ultra-pizze”.

La moda dell’ultra-pizza si diffonde in tutta Italia. Ma, come a Coccia viene costantemente ricordato, questa è Napoli, la patria della Margherita  pomodoro, mozzarella e basilico.

E dalla apertura (2010) del suo ristorante “La Notizia” che Coccia mette benzina sul fuoco con il suo lavoro di ricerca, provocando un esercito di ringhianti tradizionalisti in competizione nell’esprimere il loro disprezzo circa “audaci” combinazioni quali baccalà con la mozzarella, uso di fichi e pesto e la sua pizza all’olio e tartufo da … 25 euro.

Il suo innovativo approccio – alcuni urlerebbero al sacrilegio – ha diviso La Città Della Pizza.

Non esiste una pizza gourmet, non ci va proprio di avere a che fare con cose del genere”, dice Sergio Miccù,  presidente dell’Associazione Napoletana dei Pizzaioli, che ha ottenuto la Certificazione Europea per la Margherita e la Marinara.

La pizza nasce come cibo per i poveri e una pizza complicata perde la sua identità“.

Miccù elenca gli elementi che caratterizzano la perfetta – e ora certificata da Bruxelles – Margherita: 33 cm di diametro, crosta alta 2-3 cm, pomodori San Marzano, mozzarella di latte vaccino della regione Campania e olio d’oliva, il tutto cotto nel forno a legna dopo che la pasta è lievitata per nove ore.

Una certificazione dovrebbe bastare a chiudere il discorso eppure c’è un movimento crescente di pizzaioli che su e giù per l’Italia sta andando “oltre”, seguendo le orme della Gatta Mangiona di Roma, un ristorante che ha sperimentato pizze con anatra e asparagi, castagne cotte al vapore e funghi vari.

In un Paese che normalmente privilegia ingredienti semplici e ricette tradizionali, ci sono pizzaioli che sperimentano con stilton e Porto, così come gamberi, zafferano e liquirizia.

Per Coccia la recessione economica significa più cuochi a cucinare il cibo del povero: “Mentre la crisi porta la gente a privilegiare il risparmio sul Mangiar Bene, tanto che due chef “stellati” di mia conoscenza si stanno attrezzando di forno a legna per la pizza, io vado per essere considerato chef invece che pizzaiolo“.

Il peccato di Coccia? Aver osato aprire un ristorante nella città in cui, era il 1889, un pizzaiolo, “dedicò” la sua nuova pizza con mozzarella, pomodoro e basilico – imitando il bianco, rosso e verde della Bandiera Italiana – alla regina di quel periodo, tale Margherita Maria Teresa Giovanna di Savoia e che, nel 1954, ospitò le riprese del film “L’oro di Napoli”, commedia italiana con un Sofia Loren da urlo ad interpretare “Sofia” , la “pizzaiola” nel quartiere operaio del Materdei nell’episodio “Pizza a Credito”.

50 anni dopo, il ristorante “Starita” che ospitò Sofia al lavoro continua ad attirare folle di affamati e curiosi clienti.

Per Antonio Starita, 70enne nipote dello Starita che nel 1901 aprì il locale, queste pizze gourmet hanno proprio rotto. “Un ristorante pizzeria deve essere economico, veloce e sfornare almeno 400 pizze a serata“.

Ho visto la crema che usano e non c’è niente di peggio“, aggiunge mentre batte la pasta sotto le “obbligate” del Papa e di Diego Armando Maradona.

Al Di Matteo in Via Dei Tribunali, nel cuore di Napoli, dove vengono servite 600 pizze al giorno e una margherita costa 3 euro, il proprietario Salvatore di Matteo tratta il trend dell’ultra-pizza come “un raffreddore che passerà”. “Per me“, aggiunge, “gourmet significa parlare di ciò che si mangia.”

Un terzo del business Di Matteo è fatto da pizze fritte, piegate e solitamente ripiene di ricotta, provola e cicoli che per i napoletani è una tradizione più radicata della stessa margherita. “Fino al 1950 la pizza fritta era più richiesta della pizza cotta a forno ma ha bisogno di un buon olio e un pizzaiolo in grado di valutare la giusta temperatura dell’olio semplicemente guardandolo. Una tecnica talmente difficile che fuori Napoli non si è affermata“.

Per un esperto di cibo quale Davide Paolini, le nuove pizze gourmet “possono essere davvero gustose ma non si tratta più di pizza” e tuttavia loda il lavoro della nuova ondata di pizzaioli nel perfezionare la base della pasta della pizza: “I pizzaioli gourmet, ed in particolare Enzo Coccia, stanno facendo un serio lavoro di ricerca sulle farine e metodi di lievitazione della pasta“.

Mentre i suoi ingredienti fan strabuzzare gli occhi a “quelli della Napoli Bene della Pizza”, le basi per la pizza perfettamente lavorate da Coccia – grazie alla sua cura maniacale per i dettagli – stanno conquistando consensi dai suoi colleghi. Dopo aver lavorato per una lunga serata, Coccia ha ancora energia per descrivere il perfetto mix di umidità, volume e temperatura per la lievitazione della pasta, prima che di separarla in perfette uguali porzioni per la prossima cottura su un tovagliolo: “Da quando cominciarono i Greci non è che sia cambiato molto, ma cerchiamo sempre di migliorare le cose“.

In un secondo ristorante sulla stessa strada il menu è rigorosamente tradizionale. Quanto agli ingredienti da gourmet, alcuni possono essere considerati poco ortodossi ma tutti sono rigorosamente locali.

Ho cucinato una pizza fritta con pancetta e cozze, ispirato dagli spiedini di cozze e pancetta cucinati da mia nonna, immerse in uovo e pan grattato e poi fritte“, ha detto. “Se sono un innovatore, è perché conosco le tradizioni“.

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